Essere liberi oggi

Qualche giorno fa passeggiavo per le stradine di Deptford ascoltando uno dei miei podcast preferiti. La conduttrice del programma introdusse l’episodio leggendo un estratto del libro Psychopolitics di Byung-Chul Han. L’effetto su di me fu lo stesso di quando ascoltai il monologo sui cretini di C.Bene per la prima volta. Un misto di rivelazione divina e tristissima realizzazione che siamo tutti dei cretini. Tornato a casa comprai il libro. Quelle che seguono sono delle considerazioni molto attuali.

C’è un grosso problema con il concetto di libertà. Essere liberi oggi vuol dire aver trasformato il “dovere” in “potere”. Nel mondo occidentale siamo passati da: “devo fare il lavoro di mio padre” a ” posso fare quello che voglio: influencer, YouTuber, designer, creativa”. Siamo un po’ tutti imprenditori di noi stessi.

Questo tipo di libertà crea dei problemi imprevisti. La libertà di poter scegliere da un catalogo infinito di carriere può opprimere chi è cosciente di avere meno chances di fallire, o chi semplicemente non ha idea di che fare. Il “dovere” è limitato da ciò che ci è imposto, il “potere” è senza limiti.

Chi non riesce a trovare la propria strada ed avere “successo” non ha nessuno da incolpare se non se stesso. La conoscenza è pressoché gratuita e le piattaforme dove esporre il proprio lavoro anche. Il senso di oppressione causato dalla libertà di poter fare tutto scoppia in violenza che un tempo sarebbe stata generata dall’oppressione di un padrone, di un capo di fabbrica, ma che adesso possiamo solo volgere a noi stessi, perchè non c’è nessuno che ci dà ordini. Essere l’imprenditore di se stessi viene con questa grande, enorme clausola. Questa violenza, ora volta verso l’interno, causa tutte le condizioni solite: depressione, ansia, attacchi di panico, crisi nervosa. Molti YouTuber famosi parlano dell’effetto “burnout”, la sensazione di essersi bruciati completamente il cervello.

Cosa rimane delle relazioni personali in questa situazione? Il tempo è denaro, il tempo speso con gli amici è tempo perso se non possono aiutarti a fare carriera, a darti visibilità o “una spinta”. E quindi, volenti o nolenti, la libertà di essere diventa la libertà di essere solo con chi ci è strumentalmente utile. Se vogliamo azzardarci in una riflessione marxista, che tipo di coscienza di classe, che tipo di mobilitazione delle masse dei lavoratori è possibile quando non ci sono mezzi di produzione, quando noi stessi siamo i mezzi di produzione? L’unica rivolta possibile è una rivolta contro se stessi più che verso il sistema, perché “il sistema” semplicemente non c’è più. O meglio, il sistema c’è ma ora non è più palese.

Questo mi porta alla seconda parte di questo articolo, ben più deprimente della prima. Un filosofo inglese di metà ‘700 rubò a suo fratello l’idea di costruire le carceri in forma circolare in modo che dal centro della costruzione fosse possibile osservare dentro ogni cella. Secondo un altro filosofo questa volta francese non solo le carceri ma anche le scuole, gli ospedali e i luoghi di lavoro sono progettati apposta per dare ad un controllore una visione globale degli affari di tutti.

Immagine rubata a : https://archicage.com/wp-content/uploads/2018/09/2.jpg

Cosa succede però quando il controllore non c’è più, anzi siamo noi stessi il controllore? Il Grande Fratello – per citare un libro che odio con tutto me stesso – ha subappaltato il suo lavoro a noi e come pagamento ci ha dato un bel cellulare. Ora, lungi da me fare riflessioni à la Black Mirror, ma voglio comunque parlare di un argomento a cui tengo personalmente e professionalmente: la sorveglianza digitale. Non vi ammorberò con riflessioni scarne su come le grandi compagine di tecnologia vi spiano 24/7 e su come i governi hanno accesso a questi dati. Lo sapete già e continuate ad agire facendo finta di non saperlo. Il messaggio che voglio portiate a casa è questo: le spie siete voi.

Come un moderno rosario portiamo appresso il nostro cellulare per controllare i nostri desideri e confessarci ad un Dio a cui non crediamo, ma sappiamo essere in ascolto. Quando hai messo la foto di te e i tuoi amici al parco ci hai tenuto a precisare che era dell’estate scorsa e che quindi non stessi violando la quarantena. A chi devi le spiegazioni? Chi ti stava interrogando se non la paura del monitoraggio dei tuoi follower che come giovani Stasi (la polizia segreta, non Alberto) sono pronte a riportare il tuo comportamento anti-sociale al tribunale morale? Non c’è bisogno del 5G, di un grande fratello o del gruppo Bildenberg a controllare la popolazione, ci pensiamo già da soli.

Ci confessiamo dentro i nostri cellulari regalando dati personali a qualcuno, o qualcosa, che non conosciamo ma che conosce noi, meglio di noi stessi; un Dio digitale. Ci confessiamo aspettando un perdono che non c’è perché chi può assolverti non vede nessun peccato, tutto è permesso. E quindi si va avanti, senza nessuna possibilità salvezza, vittime e carnefici di noi stessi.

“Religione è una parola antica, al momento chiamiamola… libertà”

Il test di Sinistra Sinistra per scoprire da che parte stai

Come fare il test: scegli per ogni domanda una soluzione A) o B)

1. Casa Pound sta tenendo una manifestazione nella cittadina di cui sei Sindaco. Gli aderenti indossano delle camicie nere e qualcuno fa il saluto romano. Fino ad adesso non c’è stato nessun segno di violenza e non sembra esserci pericolo. La manifestazione però, non era stata autorizzata. Come procedi?
A) Lasci che Casa Pound continui la manifestazione, gli aderenti sono pochi e non causeranno problemi.
B) Mandi la polizia per sciogliere la manifestazione dato che non avevano ottenuto il permesso.

2. Il presentatore di un telegiornale di una piccola tv locale viene licenziato dopo che si viene a sapere che ha pagato per delle prestazioni sessuali. Il direttore del programma dice che non rispecchia i valori del suo network televisivo.
A) Giusto così, il direttore ha agito nei limiti dei suoi diritti legali e secondo i suoi principi.
B) Non va bene, le persone dovrebbero essere giudicate dal loro lavoro, non da cosa fanno a casa propria.

3. Il governo vuole togliere i crocefissi dalle scuole e dagli uffici pubblici per non urtare la sensibilità delle minoranze culturali che vivono in Italia.
A) Giusto così, viviamo in un paese multiculturale e dobbiamo rispettare le minoranze.
B) Non va bene, siamo un paese a maggioranza Cattolica e le nostre istituzioni devono riflettere la nostra cultura.

4.Una gruppo di femministe da qualche mese protesta contro il giornale Libero per le sue testate e contenuti misogini. Dicono che non smetteranno di protestare fin quando gli sponsor del giornale ritireranno le pubblicità. La loro tattica di protesta include boicottaggio e denuncia degli sponsor come misogini.
A) Il gruppo di femministe sta agendo tramite canali democratici e cercano di cambiare una caratteristica deplorevole della nostra società.
B) Le femministe stanno facendo tanto baccano per nulla, se non piace loro il giornale possono non comprarlo.

1a. Un gruppo di militanti di GreenPeace sta manifestando fuori dagli uffici dell’Eni per i danni ambientali causati nel terzo mondo dall’azienda. I dirigenti si sentono minacciati e chiedono l’intervento della polizia.
A) Lasci che i manifestanti protestino.
B) Mandi la polizia.

2a. Un professore di una scuola elementare privata di un piccolo paese si dichiara transessuale e poco dopo viene licenziato. La decisione è stata presa dal preside dopo aver ricevuto pressioni dai genitori.
A) Il preside ha agito nei limiti della sua carica; ha tutti i diritti di volere un insegnante che condivide i valori del paese.
B) Il preside avrebbe dovuto ignorare le richieste dei genitori, ciò che importa è come l’insegnante insegna.

3a.Ogni anno a Predappio un piccolo gruppo di Nostalgici del Fascismo si raduna per celebrare la messa di commemorazione della morte del Duce. Il governo sta pensando di vietare la pratica di questa attività dopo che la gran parte del paese ha denunciato questa attività.
A) Sbagliato, siamo in un paese democratico e i nostalgici sono una minoranza non-violenta che chiede di essere libera di andare ad una messa una volta l’anno.
B) Giusto, il fascismo è sbagliato e i nostalgici sono comunque una piccola minoranza. Dobbiamo rispettare ciò che la maggioranza della popolazione dice.

4a. Il leader di un partito sovranista denuncia da mesi come La Repubblica parli male delle sue idee. Secondo lui, il giornale è anti-italiano e demonizza l’amore per la nazione. Pertanto, il leader politico raduna i dirigenti d’azienda di molte società italiane importanti e dice loro che se non ritirano le donazioni a La Repubblica verranno denunciate come anti-italiane dal suo partito.
A) Il leader politico sta agendo tramite canali democratici e sta difendendo i valori del paese.
B) Le tattiche del leader sono una velata minaccia alla libertà d’espressione e alla libertà di stampa.

Come calcolare i punti: Le domande sono accoppiate tra di loro 1-1a 2-2a etc. Segna come punteggio 0 per ogni coppia di domande con risposte diverse a-b/ o b/a. Segna come punteggio 1 ogni volta che coppia di domande ha la stessa risposta a-a/ b-b

Punteggio 0-2: Partito preso; decidi la soluzione ad un problema sulla base di che fazione politica o valore sposi.

Punteggio 3-4: Principio preso; decidi la soluzione ad un problema sulla base di un principio universale anche se non riflette i tuoi valori.

La ragione dietro questo test è evidenziare come molte dei nostri valori politici sono basati su valori che riteniamo giusti, ma non sono universali. Una legge giusta in democrazia dovrebbe essere universale e non contraddittoria. Questo vuol dire trovare dei principi che non cambiano a seconda di quale partito è al potere. Nella sfera privata va bene avere delle forti convinzioni per partito preso, ma nella sfera pubblica bisogna trovare la maniera di coinciliare diversi valori in una regola più generale.

Che cos’è il Realismo Capitalista?

Avviso sui contenuti: suicidio, sanità mentale

Una frase che gira molto nei circoli accademici inglesi recita così: “è più facile immaginarsi la fine del mondo che la fine del capitalismo“. Non ci dovrebbe stupire e forse non lo fa affatto che la maggior parte dei film o libri usciti negli ultimi vent’anni raccontino dell’imminente distruzione del pianeta terra e non di un mondo fuori dal capitalismo. D’altronde il mondo sta letteralmente bruciando e rivedere i nostri trattati commerciali o modalità di produzione per mitigare gli effetti del cambiamento climatico non sono neanche sul tavolo di negoziazione come tattiche, perché, dunque, dovremmo stupirci?

Dagli anni ’70 in poi, le parole d’ordine son sempre state le stesse: “non c’è alternativa” al capitalismo, tutti gli altri sistemi sono stati provati, hanno fallito e stiamo ancora contando di morti dell’Unione Sovietica e della Cina Maoista. Per chi è nato prima, o poco dopo, il capitalismo è stato messo fortemente in discussione, soprattutto durante gli anni di piombo. Chi diventa maggiorenne adesso è nato dopo il crollo delle torri gemelle. Che cosa vuol dire il capitalismo per una intera generazione di giovani e giovanissimi che non hanno mai visto o sentito una critica al capitalismo con delle alternative, idealistiche o meno?

Il Realismo Capitalista è la realtà in cui viviamo, e se sei tra i giovani di questa generazione è la realtà che hai sempre vissuto. Voglio soffermarmi un attimo qui per meditare un po’ su cosa questo voglia dire. Io ho delle lacune a forma di concetti nel cervello. Quando da ragazzino studiavo il medioevo e leggevo che i contadini vivevano di sussistenza in comuni o grandi famiglie mi sono sempre domandato cosa volesse dire “comune”. La storiella di come il capitalismo ci abbia reso “atomizzati” è trita e ritrita, ma io non sono mai riuscito ad immaginare cosa volesse dire essere “non-atomizzato”, tu ci riesci? Perché io sono quasi sicuro che tu non ci riesca. Queste lacune a forma di concetto sono lì per evidenziare ciò che il capitalismo ha cancellato nei nostri orizzonti. Il problema è che se non c’è qualcuno che ce le fa notare possiamo andare avanti una vita senza prenderne nota. Ecco perché realismo capitalista, non è la realtà in sé, è l’unica realtà che riusciamo ad immaginare.

Perché prendersela con il capitalismo? Alla fine dei conti ci ha reso tutti più ricchi e migliorato le aspettative di vita dappertutto. Ci sono dati chiari che dimostrano che la povertà assoluta sta diminuendo e con lei anche la malnutrizione. Tutto questo grazie al capitalismo. Fino all’anno scorso, io stesso ero il più grande fan di questa storiella. E come storiella ha anche senso ed è empiricamente vera.

Perché ho smesso di crederci, dunque? Perché ha senso solo nel suo universo, nella stessa maniera in cui l’universo Marvel ha delle sue logiche che non funzionerebbero nell’universo di Naruto. In che universo ha senso la storiella? L’universo del realismo capitalista.

Che cosa manca a questa storia? Innanzitutto manca di senso storico e di senso politico. Manca di senso storico perché dà per scontato che i problemi di povertà e malnutrizione siano sempre esistiti. La povertà è relativa e la malnutrizione è una conseguenza del capitalismo. Manca di senso politico perché non evidenzia chi sono gli attori principali che hanno imposto un regime capitalista nelle nazioni che non lo avevano adottato, e a quale scopo. Ma soprattutto lascia fuori delle variabili che non considera degne di nota come la sanità mentale. Nello stesso momento il capitalismo genera medicine che allungano l’aspettativa di vita ma rende miserabili sempre più persone.

Ti faccio un esempio per rendere bene l’idea. Mettiamo che c’è un paese non a stampo capitalista e con un forte senso della tradizione. Mettiamo che dopo un grande conflitto questo paese deve rimettersi in piedi e decide di adottare il capitalismo. Segue un grandissimo boom di ricchezza. Dopo un primo periodo di estasi la gente si adatta al nuovo sistema. I giovani, nati sotto il nuovo regime economico non riescono a trovare una ragione per andare avanti, sanno che non diventeranno ricchi e sanno che gli ideali del passato sono morti, quindi decidono di togliersi la vita.

Forse hai già capito di che paese sto parlando, ma ti assicuro che non è solo quello. Questa storia si applica alla Russia, prima al mondo per suicidi, e molti paesi dell’ex blocco Sovietico. Corea del Sud, prima in Asia, seguita dal Giappone. L’incapacità di riconciliare i valori e significati della tradizione, con il vuoto del capitalismo è una delle prime cause della corrosione della sanità mentale. Pensate al fatto che gli attacchi terroristici in Europa del 2015-2016 son stati perpetrati per la maggior parte da figli di immigrati da paesi con una forte componente culturale. Tradizione a casa, e la de-sacralizzazione di tutto fuori per strada.

Ora che siamo entrati in questo campo più cupo, posso davvero lasciare andare la ghigliottina e tagliare la testa al toro. Il realismo capitalista come concetto viene attribuito a Mark Fisher, scrittore di un libro omonimo. In esso, Fisher descrive con un esempio brillante come il capitalismo si avvinghia come una serpe a qualcosa e lo stritola finché non muore. Pensate a Kurt Cobain. All’apice della sua carriera, non c’era più nulla che potesse fare che non sarebbe risultato in vendere più dischi, diventare ancora più commerciale. Persino il suo suicidio l’ha immortalato per sempre nella sfera di leggenda, e conseguentemente a vendere ancora più dischi.

Anche la ribellione più estrema al capitalismo non ci salva. Molta gente dice di non essere contenta del capitalismo, ma è proprio quando siamo convinti che il capitalismo sia sbagliato, che siamo davvero liberi di parteciparci senza sentirci in colpa. Abbiamo la possibilità di comprare le cannucce di metallo per risolvere il problema della plastica negli oceani. Se paghiamo di più Starbucks donerà parte del tuo frappuccino per l’educazione del bambino che ha raccolto i chicchi di caffè. Basta aver visto Wall-E per aver fatto già più del necessario per salvare il mondo dal cambiamento climatico. Questo stesso articolo che stai leggendo è qui solo per darti quel falso senso di consapevolezza, ma dentro di te sai benissimo che non cambierà nulla del tuo modo di agire, perché sai benissimo che niente può cambiare.

Che fare?” Dunque, mi chiederai. Non ho nessun consiglio. Non c’è nulla che tu, caro lettore, possa fare per combattere la realtà in cui vivi. Lo scopo di questo articolo è di portarti a vedere ciò che magari non hai mai messo in dubbio. In una storia di D.F.Wallace, due giovani pesci incontrano un pesce più anziano che li saluta chiedendo loro “com’è l’acqua oggi?”. I due pesci giovani si guardano confusi e uno chiede all’altro “cos’è l’acqua?”. Con questo articolo voglio farti vedere l’acqua in cui vivi, con la speranza di aprire almeno una conversazione sul mondo in cui viviamo.

Mark Fisher è stato professore della mia alma mater. Si tolse la vita nel 2017.

Balene Bibliche e Magia Nera

Avviso sui contenuti : transfobia

Per continuare con il discorso iniziato nell’articolo di ieri sulle parole e il loro significato, oggi voglio proporvi un’altra idea. Quest’idea, a mio avviso, è la cosa più vicina alla magia nera che esista. Solo che qui non c’è né trucco né inganno. Ciò che sto per raccontarvi é un’altra maniera di concepire le parole. A dire la verità è l’unica maniera di concepire le parole, solo che spesso non ci facciamo caso e diamo il loro significato per scontato. Vi prometto che, se portate pazienza, alla fine dell’articolo riceverete un pass per vincere ogni discussione basata su se X è o non è parte di Y.

Iniziamo dalle balene. Immaginate di essere a cena con dei vostri amici e la discussione devia sulla Bibbia. Non accade spesso, ma ho detto, appunto, “immaginate”. Il vostro amico Carlo, il più furbo del gruppo, dice che la Bibbia non può essere che il prodotto di mani umane perché nel Capitolo 2 del Libro di Giona, la balena che lo inghiottì è descritta come un “grande pesce”. “Lo sappiamo tutti che le balene sono mammiferi!” dice Carlo, “chiaramente la Bibbia non è la parola di Dio, se lo fosse non avrebbe commesso un errore così elementare“. Carlo si sbaglia per due motivi. Il primo motivo, e forse dove la conversazione si ferma il più delle volte, è che se vogliamo essere pignoli per quanto ne sappiamo Giona è stato inghiottito da un’aringa molto grande; ‘balena’ è una interpretazione moderna della storia.

Jonah and the giant fish in the Jami’ al-tawarikh (c. 1400), Metropolitan Museum of Art

Carlo si sbaglia anche per un altro motivo. Facciamo finta che Giona fu inghiottito a tutti gli effetti da una balena. Se gli antichi ebrei volevano chiamare la balena un grande pesce, che problema c’è? Anche se avessero scoperto il DNA già ai tempi, anche se si fossero accorti che la balena è geneticamente più vicina al tuo cane che alle aringhe, chiamare la balena un pesce non è un errore.

Se non sei convinto, salta su una macchina del tempo, se la trovi, e andiamo a trovare Re Salomone. Non mi aspetto che tu sappia l’ebraico, quindi ti dico io le parole da usare. Pesce in ebraico si dice dag e mammifero behemah. Quando sarai davanti a Re Salomone dovrai spiegargli che la balena è un tipo di behemah esattamente come i cani, le mucche e la capre che vedono ogni giorno e non un dag come le carpe, le aringhe e i tonni. Non ti serve una macchina del tempo per immaginare lo scenario dove Re Salomone ti caccia a calci fuori dal suo tempio e si chiede come un pazzo sia riuscito ad entrare nella stanza del trono.

Perché sei stato cacciato dal tempio? Perché hai cercato di spiegare a qualcuno che non parla la tua lingua come usare le sue parole. Dag per Re Salomone vuol dire ‘animale che nuota e che sta nell’acqua’ mentre behemah animale a quattro zampe che sta per terra. Un cacciatore del tempo, all’avviso di un banco di dag che si appresta alle coste, sa immediatamente che deve prendere delle reti e un arpione. Con il metodo suggerito da te, basato sulla genealogia dell’animale, un cacciatore dei tempi non saprebbe se prendere i cavalli o la barca per andare a caccia.

Con questa storiella arriviamo alla prima conclusione di questo articolo: le parole non hanno dei significati fissi, ma arbitrari. Il significato è deciso dal contesto storico, culturale e politico in cui ci si trova. Non è sbagliato chiamare la balena un pesce, come non è sbagliato chiamarla un mammifero. Ciò che cambia è il contesto e le necessità dietro il termine. Da un po’ di tempo abbiamo deciso di basare molto del nostro vocabolario su una base scientifica. Definiamo una balena un mammifero perché condivide più geni con i mammiferi che con i pesci. Fino a qui tutto bene; chi si interessa degli animali e usa parole come mammiferi o sta studiando biologia o è un veterinario. Il problema nasce quando usiamo la biologia come base per parlare degli esseri umani.

C’è un contesto dove parlare di uomini e donne usando parole basate sulla biologia ha senso ed è necessario: l’ospedale. Ad un medico serve sapere se i tuoi cromosomi sono xx o xy. Per ogni altro contesto è necessario adottare un altro sistema di classificazione per queste due parole. Perché? Perché viviamo in un mondo sociale e ci relazioniamo gli uni con gli altri nella società. La nostra prima necessità come esseri umani è vivere in una società nella maniera più giusta e inclusiva.

Dove voglio arrivare con questo? Da un po’ di anni la comunità LGBT+ si fa sempre più sentire grazie a manifestazioni come i gay pride o semplicemente grazie ai social media. I gay e le lesbiche hanno iniziato a mettere in discussione definizioni tradizionali di uomo e donna. Chi, però, davvero sfida una definizione biologica di uomo e donna sono le persone trans. Caro lettore, con questo articolo voglio convincerti che le donne trans sono donne esattamente come tua madre e gli uomini trans sono uomini esattamente come tuo padre.

Christian mi avevi promesso di parlare di magia nera e adesso cerchi di convincermi che le donne trans sono donne? Sì, va bene, sono donne nel senso che glielo lasciamo credere perché viviamo in una società e ci fanno pena, ma sotto sotto lo sappiamo che non è vero.

Ti sbagli, ma andiamo un passo per volta.

Sopra riportato è un piccolo schema che rappresenta come si pensa spesso alla definizione tramite variabili delle categorie. In questo caso la categoria è UOMO/DONNA ma sentiti libero di sostituire con una qualsiasi categoria. E soprattutto sentiti libero di aggiungere più variabili. Avrei potuto aggiungere anche variabili come “Attratto da”, “Appassionato al calcio”, “Muscoloso”, etc. Nella maggior parte dei casi, ma non necessariamente, la categoria DONNA è definita dalle variabili: PRESENTA COME: DONNA, CROMOSOMI: XX, ORGANI GENITALI: FEMMINILI, INDENTITA’ DI GENERE: DONNA. Fino a qui tutto regolare. Ma cosa succede se una variabile non segue questa regola?

Aspetta, aspetta, perché avere così tante variabili? Alla fine dei conti basta guardare i cromosomi: se sono XX = donna, se sono XY = uomo.

Una donna potrebbe sentirsi tale, presentarsi tale, avere organi genitali femminili e passare una vita completamente all’oscuro del fatto che ha i cromosomi XY. Quando è stata l’ultima volta che hai controllato i tuoi cromosomi? Hai un metodo per vedere i cromosomi delle persone con cui interagisci? Sarai d’accordo con me che è quindi assurdo basarsi sulla definizione di uomo o donna solo sui cromosomi. Ecco perché ci servono più variabili.

Il problema con questo schema di definizione delle categorie però rimane irrisolto. Se metà delle variabili indicano da un lato e le altre dall’altro? La maggior parte delle persone trans vive in questa situazione: da un lato hanno i cromosomi e gli organi genitali che puntano ad una categoria ma la loro identità di genere e la maniera in cui si presentano puntano ad un’altra. Alcune scelgono di prendere ormoni e ricorrono alla chirurgia per cambiare un’altra delle variabili. Come scegli di identificare una persona che non rispetta la definizione “tradizionale” di uomo o donna è una questione di scelta.

L’esistenza delle persone trans mette in crisi questo schema “tradizionale” di definire le categorie. Lo schema non ti dà una soluzione certa su come categorizzarle. La soluzione più conveniente sarebbe, in questo caso, chiedere alla persona interessata come riferirsi a loro e basta. Ma con questo articolo voglio convincere i più scettici, quelli che non credono nell‘ identità di genere ,quelli che proprio non sono convinti e continuano a riferirsi alla persona trans vicina di casa con il nome Antonio. Voglio anche convincere quelli che sì, chiamano le persone trans per il loro nome scelto ma pensano che si faccia per cortesia. Voglio convincerti che la maniera di pensare alle categorie che hai sempre utilizzato non riflette come il mondo è davvero e le variabili che hai utilizzato finora sono a) dettate dalla cultura in cui vivi e b) la maniera in cui decidi di definire una categoria che non rispetta metà o più delle variabili è una decisione arbitraria anche questa dettata dalla tua idea di uomo o donna. Posso immaginare che la tua regola sia semplicemente “quello che mi dicono i geni”, ma spero di aver già evidenziato come questa tecnica non funziona. Basarsi solo sugli organi genitali è abbastanza sconveniente dato che non vai in giro a chiedere cosa le persone nascondino dentro le mutande.

Sì ma la magia nera?

Ecco a te, ho tolto la variabile di identità di genere e ne ho aggiunte altre, tanto arbitrarie quanto quelle di prima. Inoltre ho anche accidentalmente invocato il demonio. Cosa noti di diverso con lo schema di prima? Non c’è una categoria che lega le variabili. Questa è la maniera in cui il mondo esiste prima della nostra categorizzazione. Gli elementi si intrecciano tra di loro e si muovono liberamente senza essere confinati da una costante centrale.

Le categorie sono create dall’uomo, non l’uomo per le categorie.

Per tirare le somme, con questo articolo ho voluto convincerti che:

  • Le parole non hanno significati fissi, ma dipendono dal tempo, necessità e cultura in cui ti trovi.
  • Le categorie sono basate su variabili completamente arbitrarie e non esistono se non vogliamo che esistano.
  • Quando qualcuno o qualcosa non rientra perfettamente in una categoria, pensa al pentagono che ho disegnato e ricordati che non è necessario rispettare al 100% dei parametri prestabiliti.

Quali sono le conseguenze di ciò? Possiamo ridisegnare come intendiamo le categorie senza il timore di vivere in una bugia. C’è una necessità di ridisegnare questa categoria. Personalmente io insisto sul chiamare le persone per come loro dicono di sentirsi. Per questa ragione la persona trans donna è tanto donna come tua madre, sempre se tua madre si senta donna, ovviamente.

Se non ti ho convinto, ed è probabile che non ci sia riuscito, almeno so di averti portato in una situazione dove la mossa che ti rimane è dire “ho deciso di continuare ad usare una definizione tradizionale di uomo e donna, per nessun motivo se non la mia fissazione con il modo in cui sono stato educato/a”, o qualcosa di simile. E la magia nera sta qui, da questo momento in avanti sei obbligato/a a concepire le parole attivamente, non puoi rifugiarti in concezioni culturali o tradizionali dei termini, e se lo fai sarà una scelta che dovrai essere capace di giustificare.

So bene di essere il viaggiatore nel tempo della situazione e tu Re Salomone. So bene che se non sono stato cacciato fuori è solo questione di tempo. Ma posso dirti che vengo da un tempo dove ognuno è rispettato per come si sente e non c’è più odio per il diverso perché l’idea stessa di diverso ha smesso di avere senso. Non vorresti venire con me? Non ti serve una macchina del tempo, solo una scelta.

Fonte: liberamente ispirato da un articolo di SlateStarCodex, protetto dalla Creative Commons Attribution 4.0

No, il razzismo verso i bianchi non esiste

Avviso sui contenuti: razzismo, violenza a sfondo razziale, schiavitù, femminicidio

Le parole sono importanti. Alcune parole sono più importanti di altre. Una di queste è la parola ‘razzismo’. Proprio perché è importante, vediamo di usarla bene. Una definizione neutra da dizionario potrebbe definirla a grandi righe come ‘discriminazione verso un gruppo di persone definite dalla loro etnia’ o qualche cosa di simile. In questo post voglio darvi un paio di argomenti per essere la persona meno divertente intorno ai vostri amici. Alla fine di questo post vincerete un pass per poter interrompere un vostro amico che a cena si lamenta di come la società sta diventando sempre più ‘razzista verso i bianchi’. Sarete la persona meno divertente, ma è un piccolo prezzo da pagare per fermare la diffusione dell’idea che esiste il razzismo verso i bianchi. È un’idea pericolosa. È una di quelle idee che vengono bypassate dal cervello e fanno contatto con lo stomaco. Con lo stomaco non si pensa, con lo stomaco si sentono le emozioni più vecchie e ancestrali, e spesso non sono belle emozioni: rabbia, timore, angoscia, paura etc. Precisamente perché è un’idea che fa appello alle emozioni, piuttosto che alla ragione, il ‘razzismo verso i bianchi’ è un’idea che intuitivamente diamo per buona. Non lo è. È un’idea pericolosa che viene usata per a) manipolare le persone usando le loro intuizioni (per quanto errate) e b) sminuire la piaga del razzismo e i suoi effetti al giorno d’oggi.

Partiamo dalle basi: le razze non esistono. O meglio, le razze non esistono biologicamente parlando. Le razze esistono come un ‘costrutto sociale’. Già so di aver perso l’attenzione della metà di voi per aver scritto ‘costrutto sociale’, ma abbiate pazienza vi prometto che ne vale la pena. La razza è un’ idea che è vera solo nella sfera sociale. Nella stessa maniera, i soldi che usiamo ogni giorno sono un costrutto sociale. Di per sé la banconota non vale nulla, non è legata a nessuna riserva d’oro in qualche banca (non più dal 1976). La banconota vale qualcosa solo perché collettivamente decidiamo che valga qualcosa. I bianchi, i neri, i rossi e i gialli esistono perché, storicamente parlando, un gruppo (vedi: spesso i bianchi) ha creato queste categorie sulla base di idee sbagliate, e sulla base di queste categorie sono state create enormi istituzioni come per esempio la schiavitù nel continente Americano, il colonialismo e più recentemente e esplicitamente, le leggi razziali. Proprio perché queste istituzioni sono esistite e gli effetti della loro esistenza continuano a essere influenti al giorno d’oggi, negare l’esistenza della razza non fa di te un campione della tolleranza, ma un ignorante benintenzionato.
Senz’offesa.
Teniamoci dunque distanti dall’idea di daltonismo razziale. Ovvero l’idea dietro frasi del tipo ‘io non vedo bianco o nero, siamo tutti uguali’. Non siamo tutti uguali, mi piacerebbe esserlo, ma il passato non si può cancellare. Riconoscere che le razze esistono come costrutto sociale non fa di te un razzista. Ben diverso è dire che esistono, ovvero che ci sono differenze biologiche tra bianchi e neri, ma bisogna ignorarle se vogliamo vivere in una società multiculturale e progressiva. Questo sì fa di te un razzista.

Quando prendiamo in considerazione la storia e le conseguenze dell’idea di razza capiamo perché ‘razzismo’ è un parola importante. È una di quelle parole che in inglese mi piace definire come <<loaded term>>, ovvero un termine carico di implicazioni e significato, che a causa del suo peso non può essere spostato e usato come si vuole. Vedi ad esempio una frase che sento spesso in Italia che riflette un uso sconsiderato del termine: “Quelli del Nord sono razzisti verso quelli del Sud”. Quando sentite una frase del genere fermatevi e chiedetevi la seguente domanda: “esiste o è esistito un sistema di sfruttamento, violenza e disumanizzazione sulla base del colore della pelle verso tale gruppo, i cui effetti sono presenti ancora adesso?” Se la risposta è no, ‘razzismo’ non è la parola per voi. Da qui potete capire dove voglio arrivare. Si può dire che il razzismo verso i bianchi esista? In che epoca storica siamo stati schiavizzati sulla base della nostra razza? Non sono mai esistiti interi sistemi di pensiero costruiti sulla base dell’inferiorità della pelle bianca ( ce l’ho con te Immanuel Kant).

Okay, Christian, va bene, capisco tutto, ma perché tutta questa pignoleria sulle parole? Alla fine dei conti l’importante è capirsi, non serve essere così bacchettoni.

Ti capisco, caro lettore, ma rimango dell’idea che abbiamo una responsabilità verso gli altri, e parte di questa responsabilità include non appropriare parole che contengono le sofferenze degli altri. Questo perché se ci abituiamo a pensare con le parole sbagliate, arriviamo inevitabilmente a conclusioni sbagliate senza accorgercene. Ti faccio un esempio: se iniziamo a pensare che alcuni esempi di discriminazione verso i bianchi, come ad esempio borse di studio per le minoranze etniche, siano ‘razzismo’, ci illudiamo poi che il razzismo non sia un grande problema, perché, sì, ci dà fastidio, ma non è che non ci dormiamo la notte.

Un altro esempio di un termine carico è ‘femminicidio’. Spero che dopo aver letto i primi paragrafi di questo post, non ci siano dubbi sul fatto che questa parola abbia senso di esistere e sia importante usarla. In caso contrario, facciamo lo stesso ragionamento di prima. Il femminicidio è omicidio, esattamente come il razzismo è discriminazione, ma c’è un elemento in più che rende la parola una parola carica: un intero sistema di pensiero (vedi: ideologia) e istituzioni che hanno considerato le donne esseri inferiori e, soprattutto, di proprietà dell’uomo. Dire che il femminicidio è un termine inutile, dimostra la mancata presa di coscienza dell’esistenza di questa ideologia. Se dietro l’omicidio di una donna c’è la concezione di mancato rispetto verso il marito, allora non si tratta più di omicidio ma di omicidio più il carico ideologico. Se non ci fosse dietro l’idea di donna come proprietà dell’uomo, non ci sarebbe neanche l’omicidio. Il termine serve a evidenziare la motivazione, e dato che la motivazione è basata su un sistema radicato nella nostra cultura, è giusto che vada evidenziato per essere messo in discussione e sradicato. Se non si riconosce l’ideologia, si sta nascondendo e giustificando la sua esistenza.

Con questo post ho voluto portare alla luce il concetto di termine carico e spiegare perché alcune parole vanno usate in una maniera precisa. Abbiamo un dovere verso la società in cui viviamo, e parte di questo dovere è riconoscere i sistemi ideologici dietro certi comportamenti. Se vogliamo vivere in una società più giusta, dobbiamo farci carico di questa responsabilità ed essere i pignoli della situazione. Certe parole sono cariche di storia, sofferenze e tragedie che abbiamo il privilegio di non conoscere, usiamole con rispetto. Questo post vuole anche sollecitare a pensare un po’ a tutte le parole che usiamo ogni giorno senza pensarci troppo. Chiediamoci da dove arrivano e se portano qualche implicazione nascosta.

Su questo blog

Un post di introduzione sulle tematiche, forma e posizione del blog.

Come nasce questo blog

Questo blog nasce da un’idea che ho avuto dopo una cena e tanto vino rosso in Italia. Avendo studiato e continuando a vivere a Londra, per mia fortuna o sfortuna, sono incappato in tante nuove idee che, in una maniera o nell’altra, adesso fanno parte della maniera in cui discuto e penso. Anche se avevo avuto una parvenza di ciò negli anni passati, a questa cena ho realizzato con più chiarezza che c’è una difficoltà tangibile nel discutere di politica e filosofia con dei coetanei anche più preparati di me in materia, perché i concetti con cui sono diventato familiare io non sono discussi o immediatamente traducibili in italiano. Ora, dato che gli studenti italiani sono tanto svegli come quelli inglesi, non vedo perché dovrebbero rimanere all’oscuro di idee interessantissime solo perché non hanno voluto pagare più di novemila sterline all’anno di tasse universitarie. Quindi mi sono detto: “piuttosto che fare loro soffrire un terribile articolo dell’Internazionale che spiega ‘la teoria del gender’ nel 2019, perché non aprire un blog che racconta senza tanti fronzoli ciò che passa in convento nelle torri d’avorio e sterline delle famigerate Università estere?” Ecco a voi Sinistra Sinistra.

Tematiche

Come anticipato questo blog è principalmente su politica e filosofia. Quale politica? La politica di tutti i giorni, ‘politica dell’esistenza’, ‘politica dell’essere politico’, se vogliamo. Questo blog non parlerà del debito pubblico, della manovra di Tizio o del DDL di Caio. Quale filosofia? In realtà nessuna, questo blog non parlerà di qualche vecchio bianco vissuto 3000 anni fa e perché ciò che ha detto lui sulla vita è importante, spoiler alert: non lo è. Questo blog parlerà di filosofia nella misura in cui cercherà di proporre nuovi concetti, nuove maniere di interpretare il mondo, o se vogliamo fare i nerd ‘espandere la propria ontologia’. Perché chiamarla filosofia? Questo potrebbe essere un post a sé stante, ma diciamo per farla breve che uno dei più importanti filosofi francesi dell’ultimo secolo definì la filosofia come l’arte di creare concetti. Ora, lungi da me prendere il titolo di creatore di concetti. Ciò che voglio essere è un umile menestrello che ripete a nastro e in lingua italiana cose scritte e pensate da altri. Cosa potete aspettarvi da questo blog? Ecco a voi una serie di idee di post che ho in mente:

  • Il Realismo Capitalista, una recensione di un libro di Mark Fisher che non è mai stato tradotto in italiano
  • Il Capitalismo di Sorveglianza, una recensione di un altro libro non ancora tradotto il italiano
  • Una pratica guida su come convincere il tuo amico razionalista che le donne trans sono donne a tutti gli effetti (e gli uomini trans, uomini).
  • L’intelligenza artificiale e le sue dimensioni etiche, politiche e economiche
  • Femminismo
  • Razzismo
  • Ci sarà ad un punto o ad un altro un post sulle trappole e i giardinieri, Dei e problemi di coordinazione, ma non preoccuparti per ora.

Stile

Lo stile di questo blog è, per mantenere il tema della cena col vino rosso, informale. Informale nel senso che cercherò di usare un linguaggio abbastanza semplice perché il blog vuole essere alla portata di tutti. Soprattutto perché dopo che si inizia a leggere e scrivere in inglese ci si accorge che qualsiasi pubblicazione di filosofia/politica italiana (sto parlando con te MicroMega) sacrifica l’intelligibilità per guadagnare qualche virtuale sguardo di approvazione da un lettore di Pasolini nei suoi primi anni del liceo. La mia missione è mantenere uno stile di scrittura che possa ricordare una interessante rimpatriata di amici del liceo, ognuno con la sua laurea ad honorem in qualche campo diverso, dove ognuno condivide prospettive interessanti e aggiornamenti dal proprio campo di studi. La mia missione è che tu capisca, caro lettore, perché per quanto lo stile sia informale, le idee sono importanti ed è giusto che vengano capite. Voglio che alla fine di ogni post tu possa andare e rovinare la tua cena al vino rosso con qualche idea presa da qui.